La Marza: Mineo e il Sahara in miniatura

(1718-1875)



Se questa storia fosse capitata in mano a Sciascia o Camilleri, probabilmente, ne avrebbero fatto lo sfondo per un giallo burocratico-giudiziario.
Nel 1718 Il marchese di Spaccaforno (l’attuale Ispica in provincia di Ragusa) e la Città di Mineo giunsero ad un accordo riguardo un’annosa questione che intrecciava diritti civici e diritti feudali. L’accordo prevedeva che il marchese avesse per sé tutti i diritti dei sette feudi di Mongialino in cambio di un versamento annuo di 400 onze (grosso modo 72.000 euro attuali) con diritto di riscatto di 8000 onze (1 milione e 440 mila euro).
Gli eredi del marchese (gli Statella divenuti principi del Cassero) a partire dal 1812 cercarono in tutti i modi di svincolarsi da questo pagamento, ricorrendo ai tribunali, corrompendo impiegati e decurioni (consiglieri) comunali di Mineo, premendo per avere a capo della città amici degli amici. Ma non riuscirono a spuntarla.
Nel 1833 i beni degli Statella furono messi in vendita (si sa spesso i nobili non sono dei buoni amministratori) e i liquidatori anziché dare al comune di Mineo (creditore) uno dei sette feudi di Mongialino, quello più prossimo al centro abitato, gli assegnarono “invece l’ex-feudo della Marza nel territorio di Spaccaforno a cento miglia di distanza, un Sahara in miniatura per giunta” (è il sindaco Luigi Capuana, scrittore e fine amministratore, a parlare).
Seguirono una serie di cause civili tra il comune di Mineo e quello di Spaccaforno alla fine dei quali (ingiustamente) fu assegnata al comune ragusano la parte più fertile della Marza. Quel che rimase al comune di Mineo (siamo già al 1875) erano 200 salme “di terreni coperti di pura e finissima arena la quale ora si stenda, ora si ammonticchi, lungo la spiaggia del mare africano e salga pigra, stentata ma brulla di qualunque cespuglio, fin dove comincia una vegetazione di polare, di lentischi nani e di palme minori, intramezzati qua e là da vere piccole oasi di terreni seminati a orzo o a frumenti… la nostra Marza non è altro.”
A margine della questione l’Ufficio Forestale di Modica aveva intenzione di “accatastare” come bosco quel “Sahara in miniatura”. La reazione del comune miniolo fu veemente: non solo il terreno restò “agricolo” ma il sindaco Capuana propose di dissodarlo e di venderlo a piccoli lotti ai contadini locali. A tal scopo trascorse alcuni mesi a Spaccaforno (il romanzo “Profumo” fu ispirato da quei luoghi).
Il comune ne ricavò notevoli introiti, si liberò di un aborto amministrativo, la letteratura italiana acquistò un meraviglioso romanzo e la costa ispicese perdette quell’angolo di “Sahara in miniatura” che sarebbe stato la gioia degli amanti della natura selvaggia del XXI secolo.