Scritture
Sub lege libertas - Lettere di Crescentino Manachino

Crescentino Manachino, Sub Lege Libertas, Operaincertalibri, 2007

Lasciava lettere in biblioteca, la biblioteca del Collegio Einaudi di Torino: Crescentino Manachino.
Era nato in un paesino vicino Vercelli, Ronsecco. Da quello che rammento di lui, e da quello che raccontava, da giovane doveva essere stato un tipo un stravagante, tanto stravagante che in anni di repressione, durante il Ventennio, fu internato nel manicomio di Vercelli. Lo vennero a prendere con la forza: davanti casa un’ambulanza, dei tipacci nerboruti lo immobilizzarono e lo fecero salire di peso sull’ambulanza. Fuori, in disparte, il prete del paese seguiva quanto succedeva, e controllava che tutto andasse liscio. Manachino non glielo ha mai perdonato: le sue lettere testimoniano la profonda avversione per i preti, i salesiani e per la Chiesa Cattolica Romana.
In manicomio si rimase, probabilmente, finché la legge Basaglia non fece chiudere i manicomi. Negli anni di internato non gli era possibile leggere la sera: spegnevano la luce alle 10, e allora Crescentino Manachino andava nei cessi, nel reparto era la sola luce accesa tutta la notte. E lì, di sera, imparava il greco e poteva leggere tranquillamente; ma regolarmente lo scoprivano e, prendendo a calci la porta, gli intimavano di uscire ed andarsene a dormire.
Leggere e studiare era l’unica cosa a cui tenesse veramente e che, forse, lo ha fatto sopravvivere in quel posto orrendo.
Ricordo che, anni dopo essere uscito dal manicomio, alla fine degli anni ’80 aveva il terrore che qualcuno gli potesse portare via la vista spruzzandogli qualcosa negli occhi: uno spray ricordo, forse, degli anni di manicomio. Si riparava gli occhi con degli enormi occhialoni a lenti gialle, veramente ridicoli allora e di gran moda oggi. Quegli occhiali erano la cosa più importante che avesse. Crescentino era un pazzo, un po’ come noi, un tipo un po’ strano. Ma chi non lo sarebbe diventato dopo 30 anni di manicomio? In biblioteca lavorava una mia amica; pietas femminile, raccoglieva le carte sparse che lasciava Crescentino, le raccoglieva e me le passava. Nei disastri di cinque o sei traslochi, ventenni di vagabondaggio, le sole che mi sono rimaste sono una ventina di fogli scritti tra il 13 e il 21 gennaio del 1988.
Prendo in mano questi fogli e immagino un dialogo impossibile, oltre il tempo, al di fuori della logica. Manachino scriveva tanto, un grafomane compulsivo che tentava di comunicare la sua storia, i suoi tormenti e le sue paure. Al di là del caso patologico, la sua è la storia esemplare di una persona che attraversa i nostri anni più bui, di un italiano contro cui istituzioni laiche e religiose hanno esercitato con sadismo (questo almeno è il pensiero di Crescentino) il loro potere: «Io sono qui a chiedere un milligrammo di umanità poiché il dolo terapeutico mi ha rovinato il fisico, e ancora si cerca di procrastinare questo milligrammo di umanità poiché la chiesa cattolica romana con la calunnia m’ha fatto subire per tutta la vita sadismo ingiustificato. [15.01.1988 – 2a lettera]» Il suo è un odio profondo, di stomaco, i “preti” sono i suoi nemici, agenti di
un complotto universale che coinvolge anche massoni e comunisti; eppure non può fare a meno dei salesiani, li cerca, cerca la sua fanciullezza infelice, cerca di rientrare nella banale vita di tutti gli “altri” anche grazie agli insegnamenti ricevuti (l’arte tipografica) e chiede loro aiuto, chiede loro un lavoro: « È 14 anni che chiedo di lavorare. [18.01.1988 – 5a lettera]». Manachino non è un parassita e vittima di un sistema che lo detesta e che complotta a livelli inimmaginabili contro di lui: «Temo anche che vengano sofisticati i grissini iposodici che compero quasi sempre negli stessi negozi e quasi sempre alla stessa ora! Ho pure la “fissazione” [...] che i blister delle pastiglie di ritmos che prendo dalla bellezza di venticinque anni, cioè dal 1963 [...] siano sofisticati già dalla fabbrica di medicinali. Sono ipotesi che faccio: le ipotesi non dovrebbero costituire schizofrenia. [21.01.1988 – 1a lettera]». Ma lui si limita a fare ipotesi, perché già sostenere i suoi timori come verità inconfutabili, teme possa essere considerato un sintomo di malattia. Un vero terrore quello di essere considerato un “pazzo”, con un procedimento induttivo ritiene che il segno più evidente della sua sanità gli proviene dalla formazione culturale che si è saputo dare, da solo, con le sue proprie forze: «Io ho sempre la speranza, se non la certezza, che in questi scritti non emerga schizofrenia o paranoia. Scrivo per dimostrare che un po' di grammatica italiana l'ho imparata, fuori dall'istituto salesiano però! [27.01.1988 – 1a lettera]». Si ribella velleitariamente, condivide la visione di chi detesta e nei momenti di scoramento abbassa le braccia: «[...] io vengo qui a scrivere queste contraddizioni concrete, per dimostrare che non sono in stato confusionale, ma rassegnato al mio destino [...] [22.01.1988 – 1a lettera]».
Rassegnato sì, pazzo mai.
Manachino ha un bisogno vitale di comunicare, di superare l’isolamento in cui, crede, l’onnipresente struttura ecclesiastica lo emargina: « Io sono qui a scrivere le analisi concrete delle mie condizioni concrete, poiché la vigliaccheria terapeutica alimentata dal b*** clero cattolico non accenna a scomparire. Sono qui a scrivere le contraddizioni concrete, poiché la p*** Chiesa Romana si attivizza affinché nessuno dialoghi con me [13.01.1988 – 1a lettera]». La Chiesa non solo agisce contro di lui, ma usa la terribile arma del silenzio, dell’indifferenza; talvolta è questa la cosa che teme di più: «[...] io sono qui a scrivere, perché tutti quanti non mi concedessero il dialogo, ed io ci tengo a dimostrare alla pubblica opinione che non sono del tutto cretino [13.01.1988 – 2a lettera]», e qualche giorno dopo: «Ora questo mutismo senz’altro doloso con cui il clero cattolico m’ha isolato dal mondo, e veramente di una criminalità incommensurabile! [21.01.1988 – 2a lettera]» Intorno il nulla. La squallida esistenza segnata dalla pubblica assistenza, pensioni di quart’ordine, sussidi “terapeutici”, diffidenza. Crescentino Manachino non dava l’impressione d’essere un barbone, non completamente, almeno; un eskimo lievemente liso, due borselli di pelle a tracolla, i capelli grigiastri dritti dritti, gli occhiali enormi, un armatura, in definitiva: « Io vorrei sapere se i miei occhi vengono bersagliati da qualche spray nascosto sotto la giacca di qualche killer cattolico salesiano e anche musulmano. Se il mio male agli occhi è di origine dolosa oppure patologica. Perché improvvisamente il mio male agli occhi aumenta e i miei occhi arrossano [...] [26.01.1988 – 1a lettera]». Intorno a lui il nulla, un nulla che cerca, nei momenti di lucidità di colmare, invocando aiuto, le sue lettere, parole scritte e abbandonate alle onde del destino, sono bottiglie metaforiche lasciate dal naufrago Manichino al gioco capriccioso delle correnti: « Nell'evenienza che questi scritti suscitino sentimenti di umanità fatemelo sapere non con un'iniezione terapeutica alla Carlo C. di cui il giornale Il Manifesto 1 giugno 1982. [25.01.1988 – 2a lettera]». Ma chi è il destinatario, non certo il venerabile Giacinto M., fittizio interlocutore, protagonista delle sue vicissitudini, privo com’è di umanità, ma quel che cerca è qualcuno che lo ascolti e che si faccia portavoce del suo disagio, che «[...] metta sul tappeto questo lavoro di retroscena alimentato dal clero cattolico. [26.01.1988 – 1a lettera]».
Manachino sa che la sua voce non sarà ascoltata: «Siccome gli antichi romani dicevano: “Reperita iuvant”, cioè le cose ripetute giovano (nella fattispecie non so a che cosa giovino le cose che vado scrivendo da parecchi anni!) io quotidianamente sono qui alle prese con la stesura dell’analisi concreta delle mie condizioni concrete. [21.01.1988 – 1a lettera]». Scrive per comunicare, scrive perché cerca un dialogo impossibile con la chiesa matrigna, scrive per comunicare la sua storia. Una storia intimamente italiana. L’ultima volta che mi è capitato di vederlo è stato 19 anni fa...  

[Crescentino Manachino è nato il 28 gennaio del 1920 ed è morto il 7 gennaio 2000. È sepolto al Cimitero Monumentale di Torino]

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Crescentino Manachino, Sub Lege Libertas, Operaincertalibri, 2007

Lettere editate e commentate da Carlo Blangiforti

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