La fata Muruana

(Mineo, 10 febbraio 1755)

La fata Muruana

Dimmi si mai vòi stiddi ppi curuna,
La vesti di la fata Muruana,
Pri arrubari lu lustru a la luna,
Tuttu lu mari dintra a ’na funtana,
E di li centu feudi partruna,
Di li trenta biddizzi capitana;
Ppi cuntintari a tia, bedda pirsuna,
Nun trovu i’mprisa ca mi torna vana. [1]

Territorio di Mineo in una carta del 1779 - fig. 1

Quel mattino del 10 febbraio 1755 il terrore, lo stupore si era aperto negli occhi di quei poveri minioli di due secoli e mezzo fa. Un anno terribile quello che, dopo alcuni mesi, si chiuse con il catastrofico terremoto di Lisbona e le sue novantamila vittime. Ma che ne sapevano quei contadini siciliani che si trovavano nei campi del feudo di Favarotta [vedi fig. 1] quando verso le 7 alzarono gli occhi e videro appalesarsi in cielo l’indefinibile, l’inspiegabile, il diabolico? Poco distante il famosissimo lago di Naftia, luogo infernale per tradizione e leggenda. In aria comparvero «varie lettighe con banderuole rosse, che camminavano errando per que’ terreni guidate da soliti condottieri di esse». I “bifolchi” ebbero appena il tempo, immaginiamo, di gettarsi in ginocchio invocando la protezione di Dio e, ne siamo certi, della patrona Sant’Agrippina, quando «tosto videsi numeroso stuolo di Pastori, che carichi di legna, e frasche l’uno indosso all’altro, sembravano incamminarsi al loro abituro». Ammutoliti i braccianti videro ben presto scomparire anche quella visione inquietante per essere subitamente rapiti, mentre l’aria si faceva via via più tersa, da una nuova scena sorprendente, nell’«aere sereno, e cheto, apparì nell’istesso luogo una mano di villani, che vangavano concordemente la terra; continuò il lavoro suddetto per qualche momento, quando repente que’ villani imaginarj deposte le vanghe, si accinsero ad alzar termini di pietra».
Cosa avevano visto i lavoratori in quella fredda mattina del febbraio del 1755?
Gli scienziati dell’epoca conoscevano bene quel tipo di eventi rari, ma non rarissimi, a cui avevano assistito in diverse altre occasioni i poveri cittadini di Mineo: «i Bifolchi, che abitano ne’ campi vicino al suddetto lago [Naftia, NdA], annoverano varj di questi Fenomeni». Ma la particolarità stava nel fatto che c’erano persone colte disposte ad indagare: a differenza del passato si stava per vivere la stagione più rivoluzionaria dell’ultimo millennio, l’età dei Lumi era da pochissimo cominciata e aleggiava nell’aria come quegli inusitati miraggi. I francesi Diderot e d’Alembert avevano iniziato a pubblicare l’Encyclopédie da appena quattro anni, un universo si stava aprendo alla ragione, non c’era più spazio, nemmeno nella Sicilia del XVIII secolo, per la superstizione.

Cesare Gaetani - fig. 2

Un anno dopo gli eventi la spiegazione fu data dall’autore di una lettera spedita a una “rivista”, il conte Gaetani.
Il 12 gennaio del 1756 il siracusano Cesare Gaetani (1718-1805), conte della Torre,[2 – vedi fig. 2] scrisse a Domenico Schiavo, redattore delle “Memorie per servire alla storia letteraria di Sicilia”, una breve relazione in cui descriveva i fatti (l’integrale è in calce a questo contributo). Le voci riguardo al fenomeno di allucinazione collettiva erano già circolate nell’isola. Il Gaetani esordisce scusandosi per il ritardo nella corrispondenza, ritardo giustificato dall’intenzione di essere più accurato possibile nel racconto degli eventi. Ad aiutarlo era stato un non meglio specificato Canonico di Mineo, suo buon amico.[3]
I villici minioli nella primissima mattinata di quel 10 febbraio aveva assistito a uno spettacolo unico: la “Fata Morgana”,[4] un fenomeno frequentemente osservato nello stretto di Messina.
Si trattava di un fenomeno ottico, una forma di miraggio, che appariva in una stretta striscia al di sopra dell’orizzonte, che “si verificava quando i raggi di luce erano incurvati dal passaggio attraverso strati d’aria a temperature diverse, in condizioni di inversione termica, in cui la transizione tra gli strati era caratterizzata da un brusco gradiente termico, con la formazione di un condotto atmosferico”. In parole povere e semplificando non poco, quando l’aria si trovava in determinate condizioni (strati più freddi alternati a strati più caldi), l’aria rifletteva immagini che si trovano anche a distanza di diversi chilometri: una sorta di miraggio, appunto.
Gaetani imputa al lago di Naftia e ai suoi “aliti” la causa della formazione di una «nuvola poliedra nell’aere, [capace di raffigurare] quella moltiplicità d’oggetti varia secondo varie sono le cose, che vanno a riflettervi». L’aria intrisa di vapori caldi del lago si era trasformata in una sorta di cannocchiale che riproduceva ravvicinandoli oggetti che si trovavano nelle contrade vicine: “mànnire”, in cui lavoravano uomini, erano presenti proprio «dirimpetto al lago» nelle contrade vicine di Castelluccio,[5] dell’Impiso[6] e di Burgio[7]; Naftia si trovava «tra due vie, una delle quali va da Caltagirone a Palagonia e Catania, e l’altra da Mineo scende al piano», vie sulle quali transitavano spesso «lettighe, mule, carrette, contadini, ed altra gente di traffico», infine in quelle zone si incontravano pastori che «portavano la provigione di legna a’ loro tugurj» e villani che usavano «zappare o vangare la terra». Alcuni testimoni (di altri fenomeni simili) sostenevano di aver visto falciare grano ad aprile, Gaetani risolve la questione con un errore di valutazione: non frumento ma fieno.
La Fata Morgana di Mineo sarà raccontata e descritta ancora nei decenni successivi.
Un paio di anni dopo, nel 1758, negli “Opuscoli di autori siciliani” leggiamo: «Si parla dello stesso fenomeno, che non di rado si è osservato due miglia lungi dalla Città di Mineo, e di quello specialmente veduto a 10 Febbraio dell’anno 1756 [data da correggere in 1755, NdA]».[8] Poi nel 1783: «Si vuole che in queste contrade [Lago de’ Palici, NdA] si osservi il decantato fenomeno della Fata Morgana, solito spesso accadere in Messina, ed in Reggio di Calabria».[9] Ancora nel 1792 «la fata morgana che si vede sopra il torbido e sulfureo lago di Ploschi [sic! da intendere “Palici”] vicino Mineo in Val di Noto in Sicilia»,[10] e lo stesso anno in Francia: «les eaux [del Lago di Naftia, NdA] sont couvertes à la surface d’un bitume qui probablement, ansi qu’au fare de Messine, est la cause de la ‘Fata Morgana’ qui s’y voit en certains temps, & dont peu d’écrivains modernes ont parlé, mais qui a été très-bien observée par M. Houel».[11] Nel 1804 la raccolta tedesca “Italienische Miscellen” recita con una certa non curanza verso Mineo: «Wir kamen da an dem unansehnlichen Orte Mineo vorbei , in dessen Gegenden sich mancherlei Anzeigen von unterirdischem Feuer befinden . Hier hat man öfters die Fata Morgana gesehen, von welcher man in der Meerenge zwischen Sicilien und Kalabrien so viel spricht».[12] Ancora nel 1811: «Somiglia alla tanto celebre Fata Morgana dello stretto siciliano, ovvero alle visioni del picciol lago di Palsei [sic!] pure in Sicilia situato, e nella valle [sic!] di Noto verso Mineo».[13] E per finire, ma la lista sarebbe ancor più lunga, nel 1864: «Colà [presso Naftia] si osserva l’ottico fenomeno, noto da tempi remoti sotto l’appellazione di ‘Fata-morgana’»[14]
Un accenno all’evento menenino è riportato anche nella stupenda carta della Sicilia di Giovanni Battista Ghigi (1779).[vedi fig. 3]

Fata Morgana di Mineo e Messina - fig. 3

E poi? E poi tutto è svanito. La nascita dello stabilimento della “Mofeta dei Palici”, la scomparsa dei due laghi, il Lago di Naftia (al quale sarebbe bene dedicare ben più che due striminzite parole), ha dissolto il miraggio che per secoli aveva affascinato scrittori, storici e viaggiatori. E per scherzo infido del destino (o del capitalismo minimo di una terra senza memoria)[15] chi era stato origine di sogni e visioni divenne esso stesso una Fata Morgana di cemento e lamiera.

 

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Note
[1] Lionardo Vigo, “Raccolta amplissima di canti popolari siciliani”, Catania, Tipografia Galàtola,1874, p. 243.
[2] Cesare Gaetani, conte della Torre, scrittore e studioso, nacque a Siracusa il 1718 e morì nel 1805. Appartenente ad una famiglia di letterati e studiosi, studiò presso i Gesuiti a Palermo. Membro dell’Accademia Aretusea, una volta tornato nella sua città si dedicò allo studio delle antichità aretusee. Tantò dotto da meritare la fiducia del Principe di Biscari (“custode delle antichità siciliane”) e da divenire un punto di riferimento per numerosi viaggiatori italiani e stranieri in Sicilia, che «si rivolgevano a lui per la visita dei monumenti e si tenevano con esso in frequente e dotta corrispondenza».  Compilò gli Annali di Siracusa in tre volumi, dal 1080 al 1800. (Cfr. Mons. Giuseppe Cannarella, Profili di Siracusani Illustri, Siracusa, Tip. Piazza Dante, 1958.)
[3] Indagare di chi mai si possa trattare potrebbe essere un interessante argomento di ricerca futura.
[4] Il nome deriva da quello di Morgana, la fata della mitologia celtica protagonista del ciclo arturiano. La fata che “induceva nei marinai visioni di fantastici castelli in aria o in terra per attirarli e quindi condurli a morte”.
[5-6-7] Contrade molto prossime al lago di Naftia (Mofeta dei Palici).
[8] “Opuscoli di autori siciliani”, Tomo primo, Gioachimo Pulejo,1758, p. II
[9] Francesco Carafa, Antonino Silvestro Bellitti, “Delle stufe e de’ bagni di Sciacca opera postuma del dottor fisico d. Antonino Silvestro Bellitti di Sciacca”, Palermo, Reale Stamperia, 1783, p. 14.
[10] “Opuscoli scelti sulle scienze e sulle arti tratti dagli Atti delle Accademie, e dalle altre Collezioni filosofiche, e letterarie, e dalle opere più recenti inglesi, tedesche, francesi, latine, e italiane, e da manoscritti originali, e inediti”: 15, 1792, p. 159.
[11] “Encyclopédie Méthodique”, vol. Abe - Con,Panckoucke, 1792, p. 115.
[12] «Siamo passati vicino ad una località insignificante, Mineo, in prossimità del quale ci sono diversi indizi di fuoco sotterraneo. Qui si è vista spesso la Fata Morgana, di cui tanto si parla riguardo lo stretto tra Sicilia e Calabria». “Italienische Miscellen”, Cotta, 1804, p. 166.
[13] Giacomo Filiasi, “Memorie storiche de’ Veneti primi e secondi” (Edizione seconda), 1811, p. 207.
[14] Vincenzo Farina, “Le Terme Selinuntine ossia Cenno della Grotta Vaporosa, e delle acque minerali del Monte S. Calogero presso Sciacca”, 1864. p. 298.
[15] Per la storia della “Mofeta dei Palici” http://www.mofetadeipalici.it/lazienda/

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Lettera di Cesare Gaetani in Domenico Schiavo, “Memorie per servire alla storia letteraria di Sicilia”, Tomo I, Palermo, Stamperia de’ SS. Apostoli per Pietro Bentivenga, 1756.

Siragusa 12 gennaio 1756
Non ascriviate a mia colpa, se non vi ho rimesso dapprima la distinta notizia della Fata Morgana[1a] veduta l’anno scorso ne’ contorni della Città di Mineo. Per rimettervela più sincera, ed esatta ne scrissi ad un Canonico di quella Città mio buon Amico, e da lui non prima di oggi ò [sic!] ricevuto la relazione, che vi trascrivo. 
Lungi dalla Città di Mineo due miglia verso il Settentrione della medesima, vi è il lago Naftia, dagli antichi chiamato Menenio, o de’ Palici, a cagione del vicino tempio consacrato a’ Dei Palici, siccome legger si può nella Sicilia antica del Cluverio, e nel Fazello colle note dell’erudito P. Priore Amico. Così le acque di questo lago, come la terra vicina alle sue sponde ànno [sic!] un indole salina, bituminosa, e sulfurea, giacchè assaporate rendono quel pungente del sale, e al primo accostarvisi vi si sente un assai ingrata puzza di zolfo, che talvolta diffondesi per fino al colle, e dentro detta Città ancora, e finalmente con attenzione osservandosi vi si vede chiaramente galleggiare il bitume sull’acque, che passate per lambicco, rendono un olio nero, crasso, puzzolente, impuro. Evvi un cavo sotterraneo, che corrisponde al gorgo del lago, donde naturalmente salano quegli aliti solforati, e bituminosi, che delle volte non avendo il bastevole largo per sortire, cagionano non lievi scosse di terra. Due sono i più rimarchevoli fenomeni, che si osservano accadere a cagion di quest’acque: l’uno è una certa, direm così, attrazione, che fanno degli animali; poiché allo spesso si veggon questi partir da luoghi lontani, e correr velocemente verso il lago; giunti, che sono al lido, vi si fermano, e dibattendosi una, o due volte, isso fatto mancano di forze, e se ne muojono.
L’altro è detto volgarmente la Fata Morgana, fenomeno, che vario essendo, secondo varj sono i tempi, e le circostanze, riesca assai curioso, e convien di raccontarlo a disteso. I Bifolchi, che abitano ne’ campi vicino al suddetto lago, annoverano varj di questi Fenomeni, ma il più vicino a noi, è quello, che accade l’anno scaduto a 10 Febbraio. Era appena nato il Sole, quando verso le ore 13 e mezza all’italiana tre miglia lungi dal lago, nella via, e vicinanze di Mongiluto,[3] che guardano per retta linea il picciol vortice delle acque, comparvero in aria varie lettighe con banderuole rosse, che camminavano errando per que’ terreni guidate da soliti condottieri di esse. I Contadini, che erano intenti al loro lavorìo in una delle Tenute del Feudo di Favarotta,[4] sorpresi dalla ammirevol comparsa, e attribuendola (come sempre àn [sic!] creduto) ad arte Diabolica, non lasciarono di raccomandarsi caldamente a Dio; scorsi pochi momenti disparvero le lettighe, e tosto videsi numeroso stuolo di Pastori, che carichi di legna, e frasche l’uno indosso all’altro, sembravano incamminarsi al loro abituro; ma svanì subito questa seconda scena, e durando l’aere sereno, e cheto, apparì nell’istesso luogo una mano di villani, che vangavano concordemente la terra; continuò il lavoro suddetto per qualche momento, quando repente que’ villani imaginarj deposte le vanghe, si accinsero ad alzar termini di pietra. Durò una mezz’ora tutto questo isviluppo di comparse diverse, e sulle ore 14. finì ogni cosa. Coloro, a’ quali è caduto in sorte di vederne de’ simiglievoli, raccontano di aver osservato nel mese di Aprile una gran quantità di mietitori, che segavano il grano.
Per ispiegarsi codesto fenomeno (sebbene da per voi stesso potete agevolmente iscoprirne la cagione) sarà bene, che consideriate, esservi ne’ luoghi circonvicini tre armenti, cioè quello di Castelluccio,[5] quel d’Impiso,[6] e quel di Burgio,[7] quali sono dirimpetto al lago, inoltre il lago sta tra due vie, una delle quali va da Caltagirone a Palagonia, e Catania, e l’altra da Mineo scende al piano, dove sono le accennate mandre; ora per queste due strade tragittano di sovente lettighe, mule, carrette, contadini, ed altra gente di traffico; dippiù i Pecoraj son soliti di portare la provigione di legna a’ loro tugurj, ed i villani sogliono zappare, o vangare la terra; laonde è da credersi, che, formando gli aliti del lago come una nuvola poliedra nell’aere, rappresentino quella moltiplicità d’oggetti varia secondo varie sono le cose, che vanno a riflettervi. Pare, che renda inverisimile questo mio pensiero l’essersi detto di sopra, che sieno stati venduti agricoltori mietere il grano in Aprile, stagione assai inopportuna ad un tal uopo; ma non si stenterà guari a concepire questo fenomeno, se si rifletterà, esser quel tempo opportunissimo a segare l’erba, ed il fieno. Gradite la mia attenzione, e vogliatemi bene.
Vostro… 
Amico Carissimo